Trump, Twitter, e l’ora tardiva della (inutile) censura

Come avrete letto, o visto, questa è l’ora in cui la Silicon Valley mostra un incredibile rigore nei confronti di Donald Trump. Un’escalation che arriva dopo mesi di accondiscendenza mista a qualche bacchettata sulle dita (per lo più da parte di Jack Dorsey, fondatore di Twitter). Oggi molte techno-corporation passano all’azione. Sulla base di questa premessa: abbiamo assistito a un assalto al Congresso e non possiamo più fare finta di nulla.

Ecco dunque le sanzioni: 

  • Twitter ha sospeso in via definitiva l’account di Donald Trump. Con l’accusa di violazione delle norme standard della comunità: «per il rischio di un ulteriore incitamento alla violenza». 
  • Google ha rimosso dal suo Play store una specie di mini Twitter senza censura, e cioè Parler. Ne abbiamo parlato su Disobbedienze: si tratta di un social network popolato per lo più da esponenti di destra e libertari. L’accusa è che dentro Parler vengano postati «continui messaggi che incitano alla violenza».
  • Pure Apple ha minacciato la stessa sanzione. E ha fissato una specie di ultimatum: 24 ore per presentare un piano di moderazione dei contenuti, altrimenti Parler sarà fuori anche da Apple store.
  • Facebook, invece, ha sospeso per almeno due settimane l’account del presidente su Facebook e pure su Instagram.

Big tech si è riscoperta, a poche ore dalla presa effettiva del potere da parte di un nuovo presidente, profondamente anti trumpiana. Un voltafaccia senza precedenti.
Alcune di queste aziende hanno goduto di investimenti milionari in pubblicità da parte del presidente uscente. Altre, come Twitter, stanno cancellando un account che da solo vale, secondo il Wall Street Journal, il 48% del totale degli utenti attivi giornalieri monetizzabili del social network. Su Facebook la proporzione è differente: Trump ha circa 35 milioni di follower che sono poca cosa rispetto agli 1.8 miliardi di utenti giornalieri.


Alcune rapide considerazioni.

  • Credo che nemmeno questa vicenda aiuterà a comprendere le modificazioni profonde che la tecnologia ha impresso alla nostra vita individuale, sociale e politica. Vi siamo troppo immersi. Non lo dico perché penso che questa tecnologia vada cancellata o possa essere cancellata, ma solo perché ritengo sia doveroso conoscere questi cambiamenti fino in fondo (e non mi pare sia poca cosa). 
  • Che Trump abbia violato gli standard dei social network è risaputo, soprattutto da chi possiede i social network. Le mosse di questi giorni sono tardive. E inutili, e dannose.
  • Facebook e Twitter hanno incassato milioni di dollari in pubblicità da Trump: il linguaggio di Trump pochi mesi fa non era differente da quello di oggi.
  • Esiste un nuovo inquilino alla Casa Bianca. Le techno-corporation sono sotto scacco di molteplici inchieste, e hanno bisogno di mostrare subito un operoso ravvedimento. Una solerte vicinanza agli ideali democratici (come faranno Biden, e soprattutto Kamala Harris, a non tenerne conto!)
  • Facebook, Google, Apple e Twitter hanno esibito un potere enorme, anche fosse perfettamente motivato, e cioè quello di tappare la bocca a un presidente degli Stati Uniti ancora in carica. Non esistono al mondo soggetti che abbiano una simile influenza sulla vita pubblica, sulla vita politica di una nazione. Se continuiamo a guardare all’output finiremo per pensare che l’output sia il problema. 
  • La mossa è inutile: chiudere un account significa solo che il titolare di quell’account si sposterà su un altro social network, su un’altra piattaforma, da un’altra parte. Tutti hanno visto Matrix, anche i seguaci di Trump, ed è un riferimento costante nel loro discorso (cercate redpill su Google, e vedrete cosa esce). Pensate davvero che abbiano paura di andare per un po’ sottacqua? 
  • Parler viene eliminato dagli store di Apple e Google? Per adesso è ancora scaricabile sul web. Se lo chiudono ne apriranno un altro e poi un altro, e un altro ancora.
  • Comunque la pensiate, Trump è stato silenziato, censurato. E tutto questo lo trasforma automaticamente in una specie di martire della libertà di espressione, immolatosi sull’altare del 1° emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti. La verità è che la Silicon Valley sta creando un problema notevole ai democratici, di cui i democratici ancora non si rendono conto.
  • Apple e Google rimuovono dalle loro piattaforme un social network, con un atto senza precedenti. Pretendono che lo stesso odio che inquina YouTube, per dirne una, venga cancellato da Parler, senza che sia stato cancellato nemmeno da YouTube. Tra l’altro cancellato non si sa come, come se fosse davvero possibile farlo. 
  • Internet funziona perché è un luogo molteplice, innumerevole, in cui ciascun pubblico trova contenuti di proprio interesse. Non ci vorrà molto prima che i trumpiani, non solo Trump, trovino un loro nuovo spazio digitale in cui discutere. E quando dico che non ci vorrà molto, intendo dire settimane, non mesi. 
  • Gli elettori di Trump non sono gli Hyksos di cui parlava Benedetto Croce per spiegare le ragioni della vittoria del fascismo. Non sono barbari alieni venuti dalla cosiddetta America profonda, tanto rozza e violenta quanto è civilizzata l’America delle due coste. Sono cittadini statunitensi come gli altri, e Internet ha dato loro un luogo in cui discutere e confrontarsi su temi di cui discutono da una vita.
  • Quella che siamo soliti chiamare disinformazione, manipolazione, non finirà con l’espulsione di Trump dai social network. Anzi, la radicalizzerà ulteriormente. Dobbiamo abituarci a convivere con essa; come abbiamo convissuto per anni, e per anni ancora convivremo, con il motore a scoppio prima di passare tutti all’elettrico. Lo ripeto: dobbiamo imparare a conviverci perché questa cosa rimarrà a lungo. 
  • Negli ultimi anni due movimenti sono nati e prosperati all’interno dell’ecosistema digitale: l’Alt-right americana e Black Lives Matter. Il primo ha contribuito a portare un presidente alla Casa Bianca, il secondo a cacciarlo (e di conseguenza a eleggere Biden, questa è la sequenza logica e politica corretta). Cominciare a pensare che, quanto accade nell’ecosistema digitale, determina non solo la forma della politica ma anche la sostanza della politica, sarebbe un passo avanti. 
  • Discutere online modifica il modo in cui discutiamo. Non è la stessa cosa che dirsi delle cose stando uno davanti all’altro, guardandosi negli occhi. E di conseguenza modifica anche i temi che portiamo nella discussione online: discutere online spesso radicalizza i temi. E in ultima analisi, modifica anche la nostra l’identità: chi siamo. Come pensiamo.  
  • Il New Yorker ha scritto ieri un articolo molto serio su questa vicenda, in cui mette in guardia «dall’idea fallace che la sempre maggiore influenza dei social network possa cambiare, in qualche modo, quasi tutto del modo in cui discutiamo, di come facciamo acquisti, di come ci sentiamo (how we feel), a cosa prestiamo attenzione e interpretiamo il mondo, che possa cambiare tutto questo senza però mutare, cambiare, il chi siamo».  
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