Burning Man e l’infrastruttura culturale delle techno-corporation.

Basteranno pochi giorni e il deserto di Black Rock tornerà uguale a se stesso. Delle scorie di una variopinta città di roulotte e tende non rimarrà nulla: non un foglio di carta, una lattina, una latta di benzina. Non resteranno tracce della bolgia di 70mila persone che ha animato il Burning Man 2018 che si è chiuso la notte del 3 settembre, con il falò dell’uomo che brucia.

Burning Man

I volontari raccoglieranno spazzatura, rifiuti di ogni genere, puliranno ogni anfratto della grande spianata dove si riuniscono per una settimana tutte quelle persone, e della città temporanea di Black Rock, come recita uno dei 10 Principi di Burning Man, non resterà traccia. Non rimarrà alcuna traccia. Solo a quel punto i serpenti a sonagli e gli scorpioni torneranno padroni di questa landa sperduta nel deserto del Nevada, fin quando – il prossimo agosto – gli umani non arriveranno di nuovo a popolarla.

Sono le fotografie che raccontano il Burning Man molto più che le parole.
Immagini di uno spettacolo che richiama un’iconografia post-apocalittica, fotogrammi alla Mad Max, distopie di un west qualunque. L’evento si ripete ogni anno uguale a se stesso negli obiettivi, nei 10 principi che lo animano, nella stravaganza di chi vi partecipa e nella bizzarria di trucchi e vestiti. Dalla fine degli anni 80 a oggi è cresciuto fino a trasformarsi in una vera e propria città temporanea nel deserto; per accedervi si pagano circa 400 dollari più altri 80 dollari per la macchina. Non ci sono treni o pullman che portano a Black Rock.

Burning Man

Burning Man è molte cose, prima di tutto un grande happening di musica, balli, installazioni temporanee, mostre, performance; ma è anche un ritrovo di chiunque viva di digitale negli Stati Uniti e soprattutto in California. Soprattutto, ed ecco la ragione per cui ne scriviamo, questa manifestazione cui, in apparenza partecipano artisti, ballerini, inventori e svitati mezzi nudi è una delle infrastrutture culturali che sorreggono le grandi techno-corporation americane. I sultani digitali sono andati spesso ad annusare l’aria bollente di Black Rock. Lo hanno fatto più volte Larry Page, Sergey Brin, fondatori di Google, il presidente di Alphabet Eric Schimdt, Elon Musk, e anche Mark Zuckerberg è stato avvistato nel deserto del Nevada, e poi i creatori di Reddit, Uber e Dropbox.

Cosa hanno trovato di tanto speciale in quella fornace?

Perché alcuni principi hanno finito per costituire elementi culturali intorno ai quali sono cresciute le aziende della Silicon Valley?

Vi lascio un assaggio del capitolo di Manuale di disobbedienza digitale dedicato proprio a Burning Man.

***

«Burning Man non è solo un evento e un festival tecnologico, è soprattutto una comunità che allestisce la propria città di station-wagon, camper, cupole geodetiche, roulotte e tende a 50 gradi all’ombra una volta l’anno. Una comunità aperta, libera, anarchica, di hippy, nudisti e millenaristi, che ha scritto i propri Dieci comandamenti e che non accetta moneta di scambio che non sia il baratto. Non si compra nulla al Burning Man, a eccezione del caffè e del ghiaccio: tutto il resto te lo devi portare oppure devi trovare il modo di scambiarlo. La comunità crede in valori basilari, nella “radicale fiducia in se stessi”, nella “radicale espressione di sé” e nell’“inclusione radicale”.
Non ci sono vie di mezzo e l’aggettivo “radicale” espresso nella fornace del deserto del Nevada assume un significato che va oltre un’affermazione di principio. L’aggettivo, pronunciato in una delle tante death valley nell’Ovest degli Stati Uniti, significa prima di tutto che devi sopravvivere e che devi portare con te gli strumenti necessari alla tua sopravvivenza e al tuo eventuale superfluo. Acqua, cibo, coperte, sigarette, benzina, elettricità, alcol. Non è solo una rappresentazione fantasiosa, è la realtà. Sopra i bisogni primari si inseriscono le prime convenzioni sociali di questa comunità temporanea. (…)

Burning Man

Chi partecipa al Burning Man crede nella “demercificazione”, nel “gifting” che si può tradurre come “cultura del regalo” ma suona in- sufficiente e dovrebbe diventare un terribile neologismo, “regalismo”, “l’ideologia del gratuito”, una dottrina che tanto ha pesato nella definizione della – presunta – gratuità di tutti i servizi connessi alla rete. Ci si scambiano oggetti, cose, pensieri, ci si scambia la partecipazione ai progetti. Pensate allo slogan che compare dalle origini sulla home page di Facebook: “È gratis e lo sarà sempre”.
L’affermazione suona meglio di qualunque marchio di fabbrica
. Burning Man ha trasformato il “regalismo” in un sigillo, forgiato a temperature altissime in una fornace primitiva, e gli ha attribuito il crisma della purezza. (…)

Durante un Burning Man è stata perfezionata l’applicazione Google Earth. Oggi la reputiamo uno strumento indispensabile, da essa sono nati tutti i navigatori che utilizziamo. Forse laggiù Google Earth cominciò come una specie di gioco, come una mappatura del deserto che serviva a individuare le basi di atterraggio aliene o il migliore venditore di peyote a pochi passi da Black Rock. Chissà, magari l’applicazione è nata con la sconosciuta e necessaria collaborazione di un oscuro smanettone dell’Illinois, tornato ai freddi inverni sul lago Michigan dopo una settimana di celebrità. Di sicuro Google Earth e poi Google Maps hanno stravolto il mondo che abitiamo. Hanno cancellato prospettive di sviluppo per grandi aziende. Raso al suolo e ricostruito il mercato dei navigatori satellitari spostandolo sugli smartphone. Messo in crisi industrie e lanciato altre. Se tutto questo fosse un gioco, una specie di Risiko tecnologico e innovativo tra capitalisti americani, Google contro Garmin o TomTom, potremmo disinteressarcene. Ma dietro questo scontro ci sono vite, esistenze di esseri umani, licenziamenti, mutui non pagati, cartoni portati dalla vigilanza all’ingresso di un’azienda, operai che hanno smesso di produrre e si sono ritrovati disoccupati, senza prospettive e senza futuro. Grazie a principi simili, stavolta all’interno di una struttura aziendale, e ben incardinati in un nuovo modo di vedere le relazioni industriali, è stato sviluppato Google News. Il 20% del tempo (libero, durante l’orario di lavoro) ha consentito a Krishna Bharat, un giovane programmatore di Google, di sviluppare un prodotto che gli serviva semplicemente per consultare meglio le notizie dopo l’11 settembre del 2001. L’ha condiviso con i colleghi, insieme hanno migliorato le funzionalità e poi, come spiegò Marissa Mayer nel 2006:

Non è solo uno strumento per aiutare Krishna a leggere meglio le sue notizie, questo è uno strumento che può aiutare a leggere meglio le notizie un sacco di gente.

Storici e autorevoli giornali hanno chiuso, giornalisti sono stati licenziati, molti tipografi in tutto il mondo non hanno più avuto un lavoro. Questa rivoluzione nata da una mail di Krishna Bharat è diventata l’architrave della nuova società dell’informazione per cui le notizie sono gratuite, punto e basta. Sono passati solo 10 anni dall’affermazione di Marissa Mayer, nel frattempo è cambiato l’universo.

Per portare un esempio modesto e molto circoscritto:

Al loro picco nel 1990, i giornali statunitensi occupavano a tempo pieno 56.900 persone nelle redazioni – secondo i dati della American Society of Newspapers Editors – Nel 2015 questo numero è crollato a 32.900.

La gratuità ipoteca il giudizio sui prodotti e sui servizi resi in questo modo. Anticipa una benevola valutazione, prelude a un’opinione positiva ma è solo una modalità di distribuzione di un prodotto, ed esistono – com’è naturale che sia – costi per tutti. (…)

Un elemento, tra i tanti, sta molto a cuore a chi scrive: per un europeo non c’è nulla di più culturalmente distante di un’esperienza simile al Burning Man per la radicalità dei comportamenti e dei luoghi, per la fiducia nell’individuo singolo che si riunisce in comunità temporanee pronte a svanire immediatamente. Noi che siamo nati negli spazi della densità abitativa, fatichiamo a comprendere la scelta radicale di vivere in mezzo al nulla, lontani dall’“ingerenza prepotente del governo”. Una scelta fondata sul bisogno di una privacy, intesa come il diritto ad essere lasciati in pace e a fare tutto da soli. C’è tutto Ralph Waldo Emerson: nella Fiducia in se stessi (la “radicale fiducia in se stessi” è uno dei comandamenti del festival di Black Rock), il poeta-predicatore sembra stia parlando proprio alla comunità del Burning Man, con due secoli di anticipo:

Si faccia avanti un coraggioso! Parli delle risorse umane, spieghi agli uomini che essi non sono salici costretti ad appoggiarsi, ma possono e devono far da soli; costui dica che esercitando la fiducia in se stes- si nasceranno nuove abilità, che un uomo è la parola fatta carne, na- to per trasmettere ovunque guarigione e salute24.

Una distanza culturale enorme, la stessa che un non americano avverte di fronte alla caparbietà con cui il protagonista del film Into the Wild si allontana da ogni forma di socialità. La natura torna sovrana: il concetto di wilderness così denso di significati per gli americani davvero non ha un corrispettivo nella nostra lingua.

Deriva dall’inglese medio wildern (‘selvaggio’) e dall’inglese antico wildd oren (‘delle bestie feroci’) e, nella definizione che ne dà il Merriam-Webster, sta per ‘un tratto o una regione non coltivata e disabitata da esseri umani’.

Risulta evidente quanto l’insediamento di Black Rock e Burning Man siano più che mai sinonimi e declinazioni contemporanee di wilderness».

 

(Per chi vuole approfondire questo tema c’è il fondamentale articolo di Fred Turner, dell’Università di Stanford: Burning Man at Google: a cultural infrastructure for new media production.)

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