Come insegnare all’algoritmo a riconoscerci

Quando ho scritto Manuale di disobbedienza digitale, ho pensato spesso ai più disparati esempi di come le persone cedevano i propri dati alle techno-corporation. Questa moda del 10 Years Challenge è un esempio plastico di come le persone regalino a una piattaforma dati senza sapere quale uso potrebbe esserne fatto. Magari il 10 Years challenge è nato come uno scherzo tra amici, non l’ha inventato nessuno a Menlo Park (sede di Facebook) e ha una funzione alta. Ma non conta, le techno-corporation hanno una qualità strabiliante: quella di sfruttare ogni dato che arriva dagli utenti, soprattutto se sono dati omogenei e voluminosi.

Scrive bene su Wired Kate O’Neill: non è solo un innocuo scambio o gioco di Meme in cui le persone si fotografano a 10 anni di distanza.

Le persone stanno insegnando all’algoritmo di Facebook (e di Instagram, che sono simili e hanno lo stesso proprietario) come invecchiano, stanno insegnando all’algoritmo a rintracciare il loro volto tra molti altri facendo conto su due sole foto. E le persone lo stanno facendo così numerose che l’algoritmo imparerà bene, e in fretta. Anche perché gli esseri umani che hanno deciso di partecipare a questa “sfida” hanno avuto il garbo di individuare un intervallo di date preciso. Cosa quanto mai utile e preziosa, come potete intuire.

L’Edge rank già conosceva il viso di quasi tutti gli utenti di Facebook, ma magari quegli utenti erano pigri, e non volevano aggiornare la foto del profilo. Il 10 Years Challenge è stato una vera manna, un aiuto insperato perché va a inserirsi su una di quelle sfide tecnologiche su cui le aziende digitali sono più impegnate: quella del riconoscimento facciale, appunto. Una sfida globale per avere le tecnologie più efficienti, più performanti. Cosa c’era di meglio di un hashtag mondiale attraverso il quale tutti sono chiamati a fare i conti con il proprio passato?

Si tratta della classica leva che solleva il mondo nello spazio sociale digitale: una chiamata all’azione che investe le persone perché le scuote e le spinge a scrivere riflessioni, a fare mini bilanci, a postare commenti sul passato. In una parola smuove le emozioni gli utenti. E le emozioni sono il carburante dei social network, (anche di quelli dati per morti e finiti, come Facebook).

La tecnologia e il modo di procedere degli algoritmi delle grandi aziende digitali sono formule complesse ma hanno una logica molto semplice: imparano sulla base di quello che noi gli insegniamo. Spesso il noi è una misura enorme. Noi può corrispondere a tutti gli italiani, a tutti gli abitanti di una città, o a tutti gli elettori di un partito.
Se, ad esempio, durante una importante partita di calcio della Roma, una buona parte delle ricerche – nella città di Roma – contiene la parola Roma, quelle ricerche e quelle persone vorranno sapere dal motore di ricerca il risultato della partita, non la storia della città, non il meteo e nemmeno le ultime notizie dal comune. E il motore di ricerca gliela fornirà come prima risposta.

big data funzionano perché sono big e le dimensioni nell’economia digitale sono essenziali. In questo momento milioni di persone, centinaia di milioni di persone, nel mondo stanno insegnando all’algoritmo di Facebook come l’essere umano invecchia in soli 10 anni. E l’algoritmo apprende: la tecnologia si chiama infatti machine learning. Dietro non c’è chissà quale complotto, quale fine di controllo o quale cospirazione, dietro non c’è una schedatura di massa della Polizia. C’è solo un’utilità che hanno colto al volo e che rende quell’algoritmo sempre più efficace nel riconoscere i volti delle persone.

Gli utenti si chiederanno, e allora? Allora niente, adesso almeno. Come spiega bene la O’ Neill però magari tra 5 anni, l’assicurazione vi farà pagare un premio molto più alto, perché grazie a un software di riconoscimento facciale avanzato, e che avete contribuito a sviluppare voi, l’azienda riconoscerà comuni e precoci segni d’invecchiamento e chissà quali pericolose conseguenze per la vostra capacità di guida. Magari non vi interessa, così come non vi interessa sapere che avete lavorato gratis per Zuckerberg, o come non vi interesserà sapere che il prossimo computer che comprerete, una volta acceso, vi dirà: ciao Nicola, ben trovato.

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