Che cos’è la blockchain

Un registro distribuito, aperto, condiviso, che può essere modificato solo con il consenso di tutti i partecipanti a una rete, utile a trasferire informazioni e dunque anche valore. 

Definizione complicata, ammettiamolo, una definizione anche parzialmente incompleta ma si riferisce a qualcosa di effettivamente complesso: la blockchain. Nome di una tecnologia che forse potremmo inserire nella categoria degli iperoggetti, alla maniera di Timothy Morton, per le immani implicazioni che sta portando con sé. Gli iperoggetti, scrive Morton, «ci obbligano a riconsiderare le idee fondamentali che ci siamo fatti (…) su cos’è la società» e su come potrebbe funzionare, aggiungo io.

Provo a elencare tre ambiti nei quali la blockchain sta mutando il presente: l’economia, l’arte e la sanità, e ovviamente la stessa Internet. Ecco perché è più che mai necessario provare a comprendere cosa sia e come schematicamente funzioni. Nonostante sia tutto piuttosto complicato tentiamo di capire una tecnologia che cambierà davvero molti aspetti della nostra vita.


Il database

Prima di scomporre la definizione, per analizzarla una porzione alla volta, occupiamoci in premessa di uno strumento che ha a che fare con la blockchain ma anche con la nostra vita quotidiana digitale, e cioè il database. La maggior parte degli oggetti che utilizziamo oggi, in rete, sono database. E cioè archivi, registri, depositi di cose, di post, di video, di mail, insiemi strutturati di dati, organizzati secondo particolari criteri. Microsoft Access, per parlare del database più conosciuto, rappresenta la forma basica di questo essenziale strumento di lavoro nell’ecosistema digitale.
Un social network, sotto un certo punto di vista, rappresenta un archivio – il database – di tutti i post e di tutte le preferenze espresse e inespresse nel tempo di una persona. 
Un client di posta elettronica – tipo Gmail – è un altro archivio di tutte le nostre mail, ordinate nel tempo e secondo etichette o cartelle.

Il database è di proprietà di un’azienda e più in generale di un soggetto specifico, il quale di norma utilizza un algoritmo per ordinare i contenuti di un archivio, e per estrarre valore dall’archivio secondo sue proprie valutazioni e i suoi interessi.
Ad esempio il social network analizza di continuo i post contenuti nel database, che corrisponde al nostro profilo utente, per capire – comparandolo con altri profili – quali siano le nostre preferenze, cosa ci piace e ci piacerà, e di conseguenza valorizza le relazioni tra queste informazioni per venderci una pubblicità che sia attenta ai nostri interessi.

Esiste un amministratore – a volte proprietario – che gestisce, modifica e controlla il database come vuole. Il database ha una parte segreta, il registro con tutte le informazioni, e una parte visibile, ciò che possono vedere tutti. Alla parte segreta può accedere solo l’amministratore. 
Nessuno può consultare il registro di chi utilizza Gmail, salvo l’amministratore e cioè Google
L’amministratore può creare campi, può consultarli, ma può anche cancellare se lo desidera. Può fare quello che vuole. 
Se domani Instagram decide che non posso più avere un account, cancella il mio nome e tutte le mie foto e video dal suo registro, dal suo database e basta. Fine della storia.  

Il database funziona perché le persone hanno fiducia nell’amministratore senza un amministratore il database non funziona.
Giusto o sbagliato che sia, riponiamo fiducia in Google, che amministra Gmail, e contiamo sul fatto che conservi le nostre mail e le custodisca, le archivi, senza farle leggere a nessuno. A questa fiducia corrisponde un potere effettivo. 
La centralizzazione è una delega a un solo soggetto, che sfrutta la delega e conta sulla fiducia per amministrare il database. 


Bene, la blockchain sovverte questo modello. 

La blockchain

Una blockchain è un database profondamente diverso dai database centralizzati.
Se tutte le blockchain sono database, non tutti i database sono blockchain. Ecco perché era necessaria questa lunga premessa. 
Alla base della blockchain, del suo modo di funzionare, compare sempre la crittografia, e cioè il sistema per rendere illeggibile un messaggio, un’informazione, a chi non possiede le chiavi per poterlo leggere, e per renderlo leggibile invece a chi le possiede.
La crittografia serve a far crescere la blockchain
La blockchain è infatti un database in continuo aggiornamento e in continua co-creazione.

I dispositivi che accedono alla blockchain si chiamano nodi (assimilabili in qualche modo agli amministratori di un database) e fanno parte di una rete.

Se vogliamo visualizzarla pensiamo alla blockchain come a una catena di blocchi legati tra loro (equivalenti ai campi di un database), ciascun blocco si aggiunge e collega a un blocco creato in precedenza. Proprio come una catena, un anello si unisce a un altro, in una lunga sequenza.
Ancora meglio, pensate al gioco Scarabeo che si compone di parole che si collegano e intersecano le une alle altre, secondo un preciso criterio: l’esistenza stessa di una parola in una lingua. Non posso aggiungere un blocco a Scarabeo con una parola che non esiste, o che non sia approvata da tutti i giocatori, con il consenso di tutti i giocatori. 
Per aggiungere un blocco alla catena bisogna rispettare un certo protocollo, delle regole, e soddisfare requisiti e criteri specifici, ma una volta soddisfatti (per esempio risolvere un’equazione), e una volta creato il blocco, i nodi della rete scrivono tutti le informazioni del nuovo blocco e possono contestualmente vederle, leggerle.
Torniamo a Scarabeo: è come una partita giocata in luoghi diversi di una casa, in cui ciascun partecipante possiede il proprio tabellone e le proprie tessere, ogni nuova parola viene riscritta da tutti i partecipanti alla partita sul proprio tabellone.

I nodi possono aggiungere blocchi e dunque modificare il database


Il protocollo, e dunque le regole per aggiungere un blocco sono regole crittografiche. Queste ultime prescrivono di esibire a tutti i partecipanti alla rete una prova: l’aver fatto una cosa, aver risolto un’equazione, oppure aver offerto qualcosa (spesso potenza di calcolo). 
È – a tutti gli effetti – una forma di consenso dei partecipanti a una comunità, un consenso raggiunto attraverso le macchine.
Non a caso si parla di algoritmi cosiddetti di consenso, (in fondo anche il voto è un algoritmo), cioè attraverso queste formule o prove che devono essere risolte o superate, e che dunque assicurano che la catena di blocchi sia integra

Le formule risolte fanno sì che ogni blocco sia collegato a un blocco precedente. 

Torniamo su un elemento: alla creazione di un blocco corrisponde la scrittura di informazioni nel blocco stesso, e tutti i nodi della rete possono vedere (dietro i nodi – di norma – ci stanno persone) il nuovo blocco e le nuove informazioni.
I nodi della blockchain posseggono una copia del database, del registro. 
Il che significa che tutti i partecipanti alla partita a Scarabeo vedono e scrivono la nuova parola appena messa giù, e ovviamente la vedono ciascuno dalla propria stanza, sul proprio tabellone.

La blockchain è quindi pubblica e trasparente. Salvo le informazioni che la rete, i soggetti che ne fanno parte, decidono di tenere segrete, attraverso sistemi di crittografia
Si può essere anonimi in maniera trasparente, questo è un altro effetto dell’utilizzo dei sistemi di crittografia, e da anonimi ottenere i vantaggi della partecipazione a una blockchain
So che esiste un giocatore di Scarabeo, so quanti punti egli ha fatto, ma non so come si chiama.


Le informazioni, una volta inserite nei blocchi, possiedono anche un’altra caratteristica, risultano immutabili, possono essere lette ma non modificate se non con il consenso di tutta la rete, di tutti i nodi.
Rimangono integre, per il futuro.
L’integrità è un carattere cruciale di questa tecnologia.

La blockchain tiene traccia di tutte le sequenze di creazioni dei blocchi e di scrittura delle informazioni. Una cronologia del farsi della catena. In questo modo si può conoscere l’esatta provenienza di chi ha creato un blocco e scritto delle informazioni.
È come se le parole di Scarabeo venissero incollate sul tabellone; per staccarne alcune bisognerebbe mettere d’accordo tutti i partecipanti al gioco, comprare nuovi tabelloni, ricostruire le altre parole

Chi possiede una blockchain
Chi possiede il tabellone di questo particolare
Scarabeo
Chi possiede insomma il registro, il database?

La blockchain non appartiene a un solo soggetto ma a molti: è distribuita per una pluralità di nodi che fanno parte di una rete, quindi per una pluralità di soggetti. 
I nodi hanno funzioni diverse: amministrazione, copia, garanzia, creazione di nuovi blocchi.
E qui la metafora si fa più complicata, ma proviamo lo stesso: il singolo tabellone dello Scarabeo è di proprietà di ciascuno, ma la partita, anzi l’intero gioco dello Scarabeo è di tutti coloro che giocano; nulla si può fare – nel gioco – se non con l’accordo di tutti e con una modifica del protocollo. 

La proprietà è distribuita, non esistono gerarchie, nella blockchain regna l’orizzontalità. Negli anelli della catena, nei blocchi, risiedono informazioni e dunque il valore che le informazioni recano con sé con tutte le caratteristiche di pubblicità, integrità e trasparenza che abbiamo visto. 

La creazione di blocchi, e dunque delle informazioni contenute nei blocchi, genera valore; la blockchain serve a creare e trasferire valore tra le persone. Valore anche economico, ma qui la faccenda è più complessa.


Ricapitolando le caratteristiche essenziali della blockchain sono: 

  • Decentralizzazione, manca un proprietario, ci sono più amministratori in più nodi, ogni nodo possiede una copia della blockchain, tutti possiedono una copia. 
  • Disintermediazione, altro effetto dell’assenza di un amministratore unico che media tra diversi soggetti. 
  • Il registro è distribuito, pubblico e trasparente, tiene traccia di tutto e si può risalire alla provenienza di chi ha scritto, prodotto qualcosa. 
  • Le informazioni contenute nel registro sono immutabili, salvo che non ci sia il consenso di tutti gli appartenenti alla rete per modificarle.
  • Il meccanismo è molto sicuro, quasi a prova di corruzione, perché per riscrivere un’informazione sul registro bisognerebbe modificarla su tutti i registri in tutti i nodi, posseduti da tutti gli amministratori. 

La creazione della blockchain risale ai primi anni ’90 del secolo scorso; Stuart Haber e Scott Stronetta che cercavano un meccanismo per verificare l’autenticità di documenti digitali. Oggi le applicazioni sono molteplici, però prima di capire a cosa serve, dobbiamo capire come funziona.

Ho provato a semplificare concetti e meccanismi, devo ammetterlo, molto complessi.

Ciò che è essenziale in questa tecnologia, è la possibilità di scambiare informazioni, e dunque scambiare valore, senza un’autorità centrale che certifichi e verifichi l’informazione e il valore stesso, nel rispetto di determinati criteri e requisiti. E scambiare valore contando sull’integrità di ciò che genera valore.

Non esiste una gerarchia, nemmeno una centralizzazione, tutto è alla pari, stavolta sul serio.
Eppure esiste un elemento che attrae su di sé un qualche potere, diciamo così, che concentra e orienta gli sforzi delle persone all’interno della rete, ed è il protocollo, la formula crittografica.
Al centro della blockchain risiede un’equazione che offre parità in cambio di qualcosa (potremmo dire che forse l’unica delega è alla formula crittografica).
Certo se – improvvisamente – compare un problema con la formula, con la prova richiesta, non esiste un giudice, un’autorità titolata a dirimere le controversie. 
L’utilizzo della crittografia garantisce l’anonimato e l’affidabilità di chi è anonimo rispetto alla rete.

L’orizzontalità, la parità tra umani è radicale, la risoluzione della formula, il superamento della prova, dell’equazione, il rispetto del protocollo garantisce informazioni che rimarranno integre, questo processo genera consenso, fiducia e valore. E già di per sé questo è un fatto cruciale.

Se l’autorità è distribuita significa che anche la fiducia è distribuita, significa che è riposta in tanti, verrebbe da dire in tutti (quindi forse in nessuno, a eccezione della fiducia nella formula crittografica).

(Grazie ad Alessandro e Antonio per l’aiuto).

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